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25 November 2019

C’è anche l’Italia nella top 10 della Sanità mondiale, al nono posto per le sue elevate performance. Ma restano ancora molte criticità.

C’è anche l’Italia nella top 10 della Sanità mondiale, al nono posto per le sue elevate performance. Ma restano ancora molte criticità.

Le elevate performance del sistema sanitario italiano hanno consentito di portarlo al nono posto nella classifica mondiale sulla Sanità, dopo Islanda, Norvegia, Olanda, Lussemburgo, Australia, Finlandia, Svizzera e Svezia.

Ma le criticità non passano inosservate. Basta cambiare punto di vista. Infatti, il primo studio a livello nazionale del Global burden of disease (Gbd) study, pubblicato sulla rivista The Lancet public health e coordinato dall’Irccs materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste da un risultato diverso. Lo studio di basa certamente sulla qualità dei sistemi sanitari dei vari Paesi, ma misurandola con l’indice ‘Haq’ (health access and quality index) che tiene conto di diversi parametri di qualità e accesso alle cure, confrontando anche i cambiamenti nel tempo delle perfomance del Servizio sanitario nazionale, usando indicatori come la mortalità, le cause di morte, gli anni di vita persi e quelli vissuti con disabilità, l’aspettativa di vita alla nascita e molto altro.

La popolazione italiana invecchia rapidamente

«Ne emerge un quadro globalmente positivo» – riferisce all’Ansa Lorenzo Monasta dell’Irccs, primo autore del lavoro – «pur con alcune criticità: per esempio la popolazione sta invecchiando rapidamente poiché in Italia abbiamo uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo (1,3%) e una tra le più alte speranze di vita; questo sta cambiando il panorama epidemiologico delle malattie, aumenta il carico delle patologie croniche dell’invecchiamento, da problemi di vista e udito all’Alzheimer e altre demenze (gli anni di vita con disabilità legati alle demenze sono aumentati del 78% dal 1990 al 2017 e i decessi per Alzheimer sono più che raddoppiati, +118%)». «L’altro aspetto significativo» – continua – «è che dal 1990 a oggi è aumentata gradualmente la spesa privata del cittadino per la salute, di pari passo a una riduzione del finanziamento pubblico alla salute, riduzione che, quindi, non è frutto di una aumentata efficienza del servizio sanitario». In particolare, rileva l’esperto, dal 2010 al 2015 il finanziamento statale in rapporto al Pil è sceso dal 7% al 6,7%, mentre nello stesso arco di tempo la spesa privata per la salute è passata aumentato dall’1,8% al 2%. Inoltre, la spesa complessiva per la salute in rapporto al Pil dal 1995 è aumentata dell’1,15%, aumento assorbito, però, non dalla spesa pubblica, ma da quella privata.

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